Come tragicamente scoprii di essere ebrea e come mi salvai-2008
Ecco l'articolo della socia Mariella Calabrese De Feo scritto in occasione del 27 gennaio 2020 Giornata della Memoria che parla di questa piccola pubblicazione.
E' un opuscolo di poche pagine, asciutto, denso, incisivo la cui la protagonista Alda Beer D’Agostino, che è anche autrice della sua storia, è un ebreo salvata, che ha fatto parte anche lei del Soroptimist Club di Livorno per molti anni, fino alla sua scomparsa pochi anni fa. Il secondo è invece un libro che narra le vicende di una Giusta tra le Nazioni, Lida Basso Frisini, scritto dal figlio Pierluigi.
Della storia di Alda Beer noi Soroptimiste livornesi siamo informate da quando, in una conviviale organizzata a casa sua nell’autunno del 2008, abbiamo ascoltato dalla sua viva voce la sua esperienza di ebrea perseguitata, riuscita miracolosamente a sfuggire ai rastrellamenti nazisti. Ricordo bene la nostra commozione durante quel racconto fatto con un filo di voce, la sua, sommessa ma decisa nell’intonazione, e soprattutto l’impressione che lasciò a tutte noi la vista dei documenti falsi con cui Alda si era salvata. Ce li mostrò tutti, con spiegazioni dettagliate, facendoci percepire il clima di terrore in cui si era svolta la sua drammatica esperienza.
Alda apparteneva a una famiglia borghese, ben inserita nell’ambiente cattolico di Torino, dove risiedeva, e ‘per nulla osservante della religione ebraica’, come afferma senza mezzi termini nel suo opuscolo. Ne facevano parte il padre ingegnere, la madre insegnante e una sorella maggiore che si laureò nel ‘41 in Chimica, durante la guerra e che nel ‘42 sposò un cattolico, dopo essersi convertita. Una famiglia ebrea dunque pienamente integrata nella realtà, nella mentalità e nelle abitudini del suo habitat.
A far prendere coscienza ad Alda del suo essere ebrea e quindi della sua posizione scomoda e pericolosa negli anni in cui si andava manifestando l’ideologia razzista, è la martellante propaganda antisemita che precede la promulgazione delle leggi razziali. Ragazzina di soli 14 anni, orgogliosa di aver concluso la IV ginnasiale, coglie improvvisamente, in tutta la sua drammaticità, la situazione della sua famiglia. Ed è proprio a queste vicende che si lega il titolo scelto da Alda per il suo scritto ‘Come tragicamente scoprii di essere ebrea e come mi salvai’.
I primi divieti che feriscono profondamente l’adolescenza di Alda sono le restrizioni scolastiche che la costringono a lasciare il “suo” Liceo Gioberti e i suoi compagni e a frequentare la Scuola Ebraica dove nel ’42 chiude il suo ciclo di studi con la maturità.
E di qui comincia l’odissea della famiglia Beer, fatta di fughe, di nascondigli, di ansie, di terrore e anche di fame, nella speranza di sfuggire a una tragedia di cui non si percepivano ancora bene né le atrocità né le dimensioni. Nel ‘43 i Beer raggiungono l’ultima tappa dei loro spostamenti, Milano, dove si stabiliscono definitivamente.
Alda Beer racconta la sua storia in maniera estremamente concisa, circoscritta ai soli fatti e priva di qualunque notazione psicologica. Al suo interno più volte si colgono riferimenti a quella rete di solidarietà e di generosità tessuta soprattutto dai ‘Giusti’, che hanno contribuito con grande spirito di sacrificio alla salvezza di un gran numero di ebrei.
Nel periodo in cui la famiglia di Alda soggiorna a Castiglione Torinese, prima tappa della fuga da Torino, compare la figura anonima di una donna, un’impiegata della Questura di Torino, sconosciuta, che una sera si presenta a casa loro per esortarli alla fuga, spiegando che quel giorno erano stati consegnati in Questura gli elenchi dei residenti ebrei. Un avvertimento del tutto imprevisto, gratuito, estremamente rischioso ma decisivo per la salvezza dei Beer, seguito da una fuga immediata verso la Svizzera. È questo l’intervento di una Giusta nella storia di Alda, una Giusta di cui non si conosce il nome, di cui non si sa nulla, come accade a tanti altri che hanno incrociato la disperazione degli ebrei in fuga e non hanno esitato ad aiutarli.
Un aiuto fondamentale giunge poi alla famiglia di Alda anche da un partigiano di nome Moscatelli, durante la loro permanenza a Varallo Sesia, lungo la strada che avrebbe dovuto portarli in Svizzera. Alda e i suoi ottengono da lui, dietro pagamento, dei documenti d’identità falsi, si chiamano Bardi e provengono da Napoli. Alda da questo momento è Margherita, Margherita Bardi e la sua famiglia, con la protezione di una nuova identità, può spostarsi con una certa sicurezza raggiungendo Milano, dove si stabilirà. Ma da Milano un giorno Alda decide di tornare a Castiglione per recuperare qualcosa dalla sua casa abbandonata precipitosamente. Un viaggio che immaginava tranquillo ma che imprevedibilmente si rivela pericolosissimo. Anche in questa occasione Alda trova chi la soccorre e le dà un aiuto, una sua vecchia amica che la nasconde in soffitta, durante un’improvvisa irruzione di tre camion di soldati, giunti a svaligiare la casa dei Beer. A portarli in quella cascina era stata la segnalazione di un certo Irenze che aveva denunciato la loro presenza per riscuotere il premio di 5000 lire. L’altra faccia della solidarietà, costruita sulla delazione, sulla povertà morale, sull’interesse.
Alla fine della sua drammatica esperienza, la famiglia Beer avrebbe voluto ringraziare quella donna che con il suo consiglio aveva salvato a tutti loro la vita, ma, in mancanza di qualunque informazione, non ha potuto farlo. E, dimostrando uno straordinario senso di umanità, non ha voluto neppure denunciare l’uomo che l’aveva tradita, esponendola al pericolo di una cattura che probabilmente sarebbe stata senza ritorno.
E' un opuscolo di poche pagine, asciutto, denso, incisivo la cui la protagonista Alda Beer D’Agostino, che è anche autrice della sua storia, è un ebreo salvata, che ha fatto parte anche lei del Soroptimist Club di Livorno per molti anni, fino alla sua scomparsa pochi anni fa. Il secondo è invece un libro che narra le vicende di una Giusta tra le Nazioni, Lida Basso Frisini, scritto dal figlio Pierluigi.
Della storia di Alda Beer noi Soroptimiste livornesi siamo informate da quando, in una conviviale organizzata a casa sua nell’autunno del 2008, abbiamo ascoltato dalla sua viva voce la sua esperienza di ebrea perseguitata, riuscita miracolosamente a sfuggire ai rastrellamenti nazisti. Ricordo bene la nostra commozione durante quel racconto fatto con un filo di voce, la sua, sommessa ma decisa nell’intonazione, e soprattutto l’impressione che lasciò a tutte noi la vista dei documenti falsi con cui Alda si era salvata. Ce li mostrò tutti, con spiegazioni dettagliate, facendoci percepire il clima di terrore in cui si era svolta la sua drammatica esperienza.
Alda apparteneva a una famiglia borghese, ben inserita nell’ambiente cattolico di Torino, dove risiedeva, e ‘per nulla osservante della religione ebraica’, come afferma senza mezzi termini nel suo opuscolo. Ne facevano parte il padre ingegnere, la madre insegnante e una sorella maggiore che si laureò nel ‘41 in Chimica, durante la guerra e che nel ‘42 sposò un cattolico, dopo essersi convertita. Una famiglia ebrea dunque pienamente integrata nella realtà, nella mentalità e nelle abitudini del suo habitat.
A far prendere coscienza ad Alda del suo essere ebrea e quindi della sua posizione scomoda e pericolosa negli anni in cui si andava manifestando l’ideologia razzista, è la martellante propaganda antisemita che precede la promulgazione delle leggi razziali. Ragazzina di soli 14 anni, orgogliosa di aver concluso la IV ginnasiale, coglie improvvisamente, in tutta la sua drammaticità, la situazione della sua famiglia. Ed è proprio a queste vicende che si lega il titolo scelto da Alda per il suo scritto ‘Come tragicamente scoprii di essere ebrea e come mi salvai’.
I primi divieti che feriscono profondamente l’adolescenza di Alda sono le restrizioni scolastiche che la costringono a lasciare il “suo” Liceo Gioberti e i suoi compagni e a frequentare la Scuola Ebraica dove nel ’42 chiude il suo ciclo di studi con la maturità.
E di qui comincia l’odissea della famiglia Beer, fatta di fughe, di nascondigli, di ansie, di terrore e anche di fame, nella speranza di sfuggire a una tragedia di cui non si percepivano ancora bene né le atrocità né le dimensioni. Nel ‘43 i Beer raggiungono l’ultima tappa dei loro spostamenti, Milano, dove si stabiliscono definitivamente.
Alda Beer racconta la sua storia in maniera estremamente concisa, circoscritta ai soli fatti e priva di qualunque notazione psicologica. Al suo interno più volte si colgono riferimenti a quella rete di solidarietà e di generosità tessuta soprattutto dai ‘Giusti’, che hanno contribuito con grande spirito di sacrificio alla salvezza di un gran numero di ebrei.
Nel periodo in cui la famiglia di Alda soggiorna a Castiglione Torinese, prima tappa della fuga da Torino, compare la figura anonima di una donna, un’impiegata della Questura di Torino, sconosciuta, che una sera si presenta a casa loro per esortarli alla fuga, spiegando che quel giorno erano stati consegnati in Questura gli elenchi dei residenti ebrei. Un avvertimento del tutto imprevisto, gratuito, estremamente rischioso ma decisivo per la salvezza dei Beer, seguito da una fuga immediata verso la Svizzera. È questo l’intervento di una Giusta nella storia di Alda, una Giusta di cui non si conosce il nome, di cui non si sa nulla, come accade a tanti altri che hanno incrociato la disperazione degli ebrei in fuga e non hanno esitato ad aiutarli.
Un aiuto fondamentale giunge poi alla famiglia di Alda anche da un partigiano di nome Moscatelli, durante la loro permanenza a Varallo Sesia, lungo la strada che avrebbe dovuto portarli in Svizzera. Alda e i suoi ottengono da lui, dietro pagamento, dei documenti d’identità falsi, si chiamano Bardi e provengono da Napoli. Alda da questo momento è Margherita, Margherita Bardi e la sua famiglia, con la protezione di una nuova identità, può spostarsi con una certa sicurezza raggiungendo Milano, dove si stabilirà. Ma da Milano un giorno Alda decide di tornare a Castiglione per recuperare qualcosa dalla sua casa abbandonata precipitosamente. Un viaggio che immaginava tranquillo ma che imprevedibilmente si rivela pericolosissimo. Anche in questa occasione Alda trova chi la soccorre e le dà un aiuto, una sua vecchia amica che la nasconde in soffitta, durante un’improvvisa irruzione di tre camion di soldati, giunti a svaligiare la casa dei Beer. A portarli in quella cascina era stata la segnalazione di un certo Irenze che aveva denunciato la loro presenza per riscuotere il premio di 5000 lire. L’altra faccia della solidarietà, costruita sulla delazione, sulla povertà morale, sull’interesse.
Alla fine della sua drammatica esperienza, la famiglia Beer avrebbe voluto ringraziare quella donna che con il suo consiglio aveva salvato a tutti loro la vita, ma, in mancanza di qualunque informazione, non ha potuto farlo. E, dimostrando uno straordinario senso di umanità, non ha voluto neppure denunciare l’uomo che l’aveva tradita, esponendola al pericolo di una cattura che probabilmente sarebbe stata senza ritorno.