“Andava fatto, la Giusta Lida Basso Frisini ” è il libro scritto dal figlio Pierluigi Frisini, presentato dalla socia Mariella Calabrese De Feo e la cui stampa è stata curata dalla socia Silvia Di Batte, pubblicato nel settembre 2020.
L'articolo scritto dalla socia Mariella Calabrese De Feo in occasione della giornata della memoria spiega l'idea del libro e la sua stesura.
L’idea di mettere per iscritto la straordinaria vicenda di questa donna si era affacciata da tempo alla mente del figlio Pierluigi senza mai realizzarsi. In questa situazione di perplessità, trovano spazio le mie rassicurazioni, dato che, da amica di famiglia di vecchia data quale sono, sapevo bene che quella storia meritava di essere scritta e di essere conosciuta.
Lida Basso Frisini, ormai da tempo, aveva ricevuto la prestigiosa onorificenza di Giusta tra le Nazioni dallo Yad Vashem di Gerusalemme – l’Ente Nazionale israeliano che si occupa della Memoria della Shoah in tutti i suoi aspetti – ed era elencata tra i Giusti italiani senza alcuna notizia che parlasse di lei. Questo lo avevo notato con mia grande sorpresa nel consultare il sito dello Yad Vashem. Bisognava dunque assolutamente colmare questa lacuna che suonava imperdonabile. Pierluigi ne è convinto anche lui e così comincia a organizzare il suo scritto. E a questo punto, informato del progetto, interviene anche il nostro Soroptimist Club, che sostiene l’iniziativa con calore ed entusiasmo. Questo accadeva un anno fa, nel gennaio 2020 in occasione della Giornata della Memoria. A giugno il libro è stato pubblicato e presentato dal nostro Club nel contesto della chiusura del suo anno sociale 2019-2020.
Nel volume dedicato a Lida Basso Frisini, la prospettiva della narrazione è completamente ribaltata rispetto all’impostazione della storia di Alda Beer. Lì emerge in primo piano la storia di un’ebrea perseguitata e in filigrana traspare solo il profilo di una Giusta, peraltro anonima, il cui intervento piega in una direzione provvidenziale le vicende, qui troviamo in azione una Giusta, il racconto è centrato su di lei, sul soccorso prestato ad alcuni ebrei in fuga, mentre restano sullo sfondo le rappresaglie e i rastrellamenti che insanguinano la Lucchesia negli ultimi anni di guerra.
Siamo negli anni ’43 - ‘44, Lida è una giovane donna che abita con i suoi genitori adottivi in un piccolo paese della Lucchesia. Qui vive a distanza le tragiche notizie che ogni giorno trasmette la radio sulla guerra approdata anche in Italia e sulle condizioni di un governo sempre più precario. Ha conseguito il Diploma magistrale e ha cominciato a lavorare in una fabbrica di filati. È una ragazza intraprendente e attiva, con un temperamento vivace e generoso che guarda in positivo. Io, che l’ho conosciuta circa 40 anni fa, ho un ricordo molto vivo di lei, di una donna solare e avvolgente con una personalità forte che non passava certamente inosservata.
All’improvviso, in un giorno dell’estate del 43, Lida incontra casualmente per strada delle persone in fuga dalla Francia al seguito dell’esercito italiano in ritirata. Questo incontro segna una svolta brusca nella vita sua e della sua famiglia, una svolta che si rivela estremamente pericolosa, quando l’uomo che le si avvicina, dopo i saluti e le prime parole di circostanza, le confessa di essere ebreo. È il primo momento drammatico di questa storia, e altri ce ne saranno, ma Lida, benché si renda conto dei rischi e dei risvolti drammatici di questa confessione, non arretra. La sua accoglienza è immediata, non mostra cedimenti. E così comincia in casa di Lida un lungo periodo di convivenza con gli ospiti ebrei gestito con grande semplicità e soprattutto con l’appoggio dei genitori, da subito ben disposti. Ma la regista è solo lei, è lei che decide cosa fare e come affrontare coraggiosamente questa emergenza fino in fondo.
Dopo non molto si aggiungono al primo nucleo di ospiti altre tre persone, loro parenti. Oltre alla generosità e all’altruismo dimostrati da subito, Lida dà prova ora di grande determinazione e di un intraprendente spirito organizzativo, non si perde d’animo, e con l’appoggio di persone fidate, riesce a trovare una sistemazione accettabile per tutti. Non solo ma per mimetizzare meglio la provenienza degli ospiti da subito si impegna a insegnare loro l’italiano e con buoni risultati.
Intanto al centro e nel nord Italia la situazione peggiora progressivamente dopo la firma dell’armistizio, le rappresaglie dei tedeschi sono sempre più cruente mentre gli alleati risalgono con non poche difficoltà la penisola. A Lunata cresce l’angoscia e i rischi ingigantiscono.
La grande famiglia, che si è raccolta intorno a Lida sotto la spinta della forza centripeta dell’accoglienza e dell’aiuto, ora è costretta a dividersi, dispersa dalla forza centrifuga del pericolo. L’arresto del parroco di Lunata e del vice parroco il 16 agosto del 44 insieme ad altre persone del paese è l’episodio che sgretola quella piccola comunità e che convince anche Lida ad allontanarsi. Gli uomini, grazie alla sua mediazione, sono ospitati in un convento e lei stessa, resasi conto di essere stata notata, lascia la sua casa e si rifugia in casa di parenti. Degli arrestati si perde traccia e non si avranno più notizie. Una lapide li ricorderà per sempre a tutti nel loro sacrificio disinteressato.
Il mese dopo, in settembre finalmente Lucca viene liberata è la casa di Lunata gradatamente si ripopola. Non manca nessuno. Si volta pagina ormai e Lida ha vinto la sua battaglia.
Dopo questa drammatica parentesi di cui conserverà gelosamente il ricordo per anni, senza parlarne con nessuno, Lida si riappropria pian piano di una vita normale, si iscrive all’Università, si sposa, si laurea e si dedica all’insegnamento, sua passione da sempre.
Su segnalazione dei suoi amici ebrei, che le devono la vita, molti dopo ottiene l’onorificenza di Giusta tra Le Nazioni, deliberata a Gerusalemme dallo Yad Vashem e consegnata a lei a Livorno nel corso di una toccante cerimonia nella Sinagoga. Ma non si sente un’eroina. Al cronista che le chiede un commento sul suo passato, risponde con quella bella esclamazione scelta felicemente come titolo del suo libro: Andava fatto e aggiunge C’era un’umanità da salvare! dimostrando una chiara percezione dell’enormità della tragedia che si era consumata.
Andava fatto: una frase che esprime tutto, che condensa in due parole la determinazione e il coraggio di chi la pronuncia, l’emergenza del momento, l’urgenza dei soccorsi, la necessità di un intervento pronto e incondizionato, anche a rischio della vita.
E sono proprio questi i tratti dell’esperienza che ha fatto di Lida Basso Frisini la prima Giusta tra le Nazioni di Livorno.
L'articolo scritto dalla socia Mariella Calabrese De Feo in occasione della giornata della memoria spiega l'idea del libro e la sua stesura.
L’idea di mettere per iscritto la straordinaria vicenda di questa donna si era affacciata da tempo alla mente del figlio Pierluigi senza mai realizzarsi. In questa situazione di perplessità, trovano spazio le mie rassicurazioni, dato che, da amica di famiglia di vecchia data quale sono, sapevo bene che quella storia meritava di essere scritta e di essere conosciuta.
Lida Basso Frisini, ormai da tempo, aveva ricevuto la prestigiosa onorificenza di Giusta tra le Nazioni dallo Yad Vashem di Gerusalemme – l’Ente Nazionale israeliano che si occupa della Memoria della Shoah in tutti i suoi aspetti – ed era elencata tra i Giusti italiani senza alcuna notizia che parlasse di lei. Questo lo avevo notato con mia grande sorpresa nel consultare il sito dello Yad Vashem. Bisognava dunque assolutamente colmare questa lacuna che suonava imperdonabile. Pierluigi ne è convinto anche lui e così comincia a organizzare il suo scritto. E a questo punto, informato del progetto, interviene anche il nostro Soroptimist Club, che sostiene l’iniziativa con calore ed entusiasmo. Questo accadeva un anno fa, nel gennaio 2020 in occasione della Giornata della Memoria. A giugno il libro è stato pubblicato e presentato dal nostro Club nel contesto della chiusura del suo anno sociale 2019-2020.
Nel volume dedicato a Lida Basso Frisini, la prospettiva della narrazione è completamente ribaltata rispetto all’impostazione della storia di Alda Beer. Lì emerge in primo piano la storia di un’ebrea perseguitata e in filigrana traspare solo il profilo di una Giusta, peraltro anonima, il cui intervento piega in una direzione provvidenziale le vicende, qui troviamo in azione una Giusta, il racconto è centrato su di lei, sul soccorso prestato ad alcuni ebrei in fuga, mentre restano sullo sfondo le rappresaglie e i rastrellamenti che insanguinano la Lucchesia negli ultimi anni di guerra.
Siamo negli anni ’43 - ‘44, Lida è una giovane donna che abita con i suoi genitori adottivi in un piccolo paese della Lucchesia. Qui vive a distanza le tragiche notizie che ogni giorno trasmette la radio sulla guerra approdata anche in Italia e sulle condizioni di un governo sempre più precario. Ha conseguito il Diploma magistrale e ha cominciato a lavorare in una fabbrica di filati. È una ragazza intraprendente e attiva, con un temperamento vivace e generoso che guarda in positivo. Io, che l’ho conosciuta circa 40 anni fa, ho un ricordo molto vivo di lei, di una donna solare e avvolgente con una personalità forte che non passava certamente inosservata.
All’improvviso, in un giorno dell’estate del 43, Lida incontra casualmente per strada delle persone in fuga dalla Francia al seguito dell’esercito italiano in ritirata. Questo incontro segna una svolta brusca nella vita sua e della sua famiglia, una svolta che si rivela estremamente pericolosa, quando l’uomo che le si avvicina, dopo i saluti e le prime parole di circostanza, le confessa di essere ebreo. È il primo momento drammatico di questa storia, e altri ce ne saranno, ma Lida, benché si renda conto dei rischi e dei risvolti drammatici di questa confessione, non arretra. La sua accoglienza è immediata, non mostra cedimenti. E così comincia in casa di Lida un lungo periodo di convivenza con gli ospiti ebrei gestito con grande semplicità e soprattutto con l’appoggio dei genitori, da subito ben disposti. Ma la regista è solo lei, è lei che decide cosa fare e come affrontare coraggiosamente questa emergenza fino in fondo.
Dopo non molto si aggiungono al primo nucleo di ospiti altre tre persone, loro parenti. Oltre alla generosità e all’altruismo dimostrati da subito, Lida dà prova ora di grande determinazione e di un intraprendente spirito organizzativo, non si perde d’animo, e con l’appoggio di persone fidate, riesce a trovare una sistemazione accettabile per tutti. Non solo ma per mimetizzare meglio la provenienza degli ospiti da subito si impegna a insegnare loro l’italiano e con buoni risultati.
Intanto al centro e nel nord Italia la situazione peggiora progressivamente dopo la firma dell’armistizio, le rappresaglie dei tedeschi sono sempre più cruente mentre gli alleati risalgono con non poche difficoltà la penisola. A Lunata cresce l’angoscia e i rischi ingigantiscono.
La grande famiglia, che si è raccolta intorno a Lida sotto la spinta della forza centripeta dell’accoglienza e dell’aiuto, ora è costretta a dividersi, dispersa dalla forza centrifuga del pericolo. L’arresto del parroco di Lunata e del vice parroco il 16 agosto del 44 insieme ad altre persone del paese è l’episodio che sgretola quella piccola comunità e che convince anche Lida ad allontanarsi. Gli uomini, grazie alla sua mediazione, sono ospitati in un convento e lei stessa, resasi conto di essere stata notata, lascia la sua casa e si rifugia in casa di parenti. Degli arrestati si perde traccia e non si avranno più notizie. Una lapide li ricorderà per sempre a tutti nel loro sacrificio disinteressato.
Il mese dopo, in settembre finalmente Lucca viene liberata è la casa di Lunata gradatamente si ripopola. Non manca nessuno. Si volta pagina ormai e Lida ha vinto la sua battaglia.
Dopo questa drammatica parentesi di cui conserverà gelosamente il ricordo per anni, senza parlarne con nessuno, Lida si riappropria pian piano di una vita normale, si iscrive all’Università, si sposa, si laurea e si dedica all’insegnamento, sua passione da sempre.
Su segnalazione dei suoi amici ebrei, che le devono la vita, molti dopo ottiene l’onorificenza di Giusta tra Le Nazioni, deliberata a Gerusalemme dallo Yad Vashem e consegnata a lei a Livorno nel corso di una toccante cerimonia nella Sinagoga. Ma non si sente un’eroina. Al cronista che le chiede un commento sul suo passato, risponde con quella bella esclamazione scelta felicemente come titolo del suo libro: Andava fatto e aggiunge C’era un’umanità da salvare! dimostrando una chiara percezione dell’enormità della tragedia che si era consumata.
Andava fatto: una frase che esprime tutto, che condensa in due parole la determinazione e il coraggio di chi la pronuncia, l’emergenza del momento, l’urgenza dei soccorsi, la necessità di un intervento pronto e incondizionato, anche a rischio della vita.
E sono proprio questi i tratti dell’esperienza che ha fatto di Lida Basso Frisini la prima Giusta tra le Nazioni di Livorno.